Saturno Magazine, Articolo:  Hiqmet Meçajt

 Hiqmet Meçajt

 Hiqmet Meçajt

 

 

ARCHI

 

Furono i piedi per prima,

poi essi  inventarono le strade

e visto la loro pessima memoria

sempre da loro

la ripetizione del ritorno

prigionia pagata cara.

Torniamo sempre, mai andiamo diritti

sono archi che i piedi conoscono a memoria

adesso gli sanno anche le ruote.

 

Bimbo, che fatichi a camminare,

se ti insegniamo la memoria dei piedi

il ruotarsi verso lo stesso punto,

dove il centro non sei tu,

inventaci un'altra strada

un altro modo di camminare!

 

CERCO LA CITTÀ

 

Parto ogni giorno per raggiungere la città

esco da una delle sue vie, inciampo nei marciapiedi

chiedo a sinistra, a destra, sapete dove e la città?

 

La domanda stessa scuote la testa

un'altra domanda chiede,

nessuno sa dove e la città.

E vero qui

e pieno di luci, donne mezzenude

il treno elettrico ghiotto di binari,

insegne pubblicitarie che urlano, pero

nessuno sa dove e nascosta la città.

Camino confuso, davanti a me la mia domanda 

semina panico, tutti si riempiono di domande,

ci stanchiamo, ogni giorno camminiamo per le vie della città

con la speranza di trovarlo un giorno la città.

 

LO SVERGINARSI

 

Una notte il mio amico

ha visto cadere gatti morti dal cielo 

senz’altro ha sentito la puzza, i pezzi di sangue

la mancanza dei miagolii,

quella notte stranamente al posto del cielo

io vidi un grande seno

con un capezzolo marrone pieno di voglia

attaccato su egli, come con una molletta, la calma.

 

Tutto dormiva, il vento stranamente russava

il cielo vuoto di colori

stelle cadute sul grande seno

come cicce di sigarette,

fumava l’Olimpo.

 

Nessuno poteva succhiare dal capezzolo marrone

bambino affamato

o uomo riacceso dalla lunga assenza

misi le mie piccole labbra

e spaventai i gatti morti

che cadevano e cadevano interotamente dal cielo

con i perduti miagolii.

 

Quella notte dal Parthenone gli scorro un filo di sangue

lo sverginarsi era iniziato

il seno si riempi di latte

nelle mie labbra zitti lo spavento

ed il silenzio si spavento.

 

Non sapevo se ero un uomo riacceso dalla lunga assenza,

o un bambino stranamente sverginato.

 

800 CHILOMETRI DI STRADA

 

A letto

ha visto un volatile spelacchiato

striminzito.

E la mamma, li dissero.

 

La lacrima non lacrimo,

l’urlo non urlo.

 

Interratela, ha detto

tutto può essere,

ma no mia madre.

 

Ed entro nella stanza degli uomini

chiamo la mamma, li chiese un caffè

amaro,

a darle le condoglianze per qualcuno

che spelacchiato e striminzito

per sbaglio

nel suo letto

era morto.

 

IL BALCONE

 

Pezzo di cemento appeso,

muri marci di larve e lumache,

ne in cielo, ne in terra. Esce lei di fronte 

stende lenzuola di macchie povere, un po’ vergognose,

della notte che passammo.

Con un millepiedi grosso, rosso,

mi guardo negli  occhi. Un uccello me lo rapisce

ed io mi intristisco, sempre mi terrorizza

la perdita delle gambe. Esce lei, raccoglie  le lenzuola,

le macchie vergognose  spariscono,

li tra il cielo e la terra. Il vaso marrone si spacca

li sta stretto al cactus, senza amici, ha deciso

di allungare le zampette sottili, per toccare la terra,

ma si seccano poverine… ed io mi intristisco,

la perdita delle gambe mi terrorizza. Lei

sopra il cemento di fronte, entra ed esce, sbatte

come un sasso bianco lo sguardo su di me. Mi uccide

e mi uccide.

 

Ne in terra e ne in cielo,

sopra dei muri marci,

entro ed esco in questa illusione.

 

LA GIACCA  A QUADRETTI

 

La mia giacca a quadretti.

Ogni sera ho voglia di coltivarla,

invento li il mio giardino con rose e tulipani.

 

In un angolo, dove batte il vento,

piazzo due piccoli ulivi,

piu in la una vigna,

faccio il parco giochi di mille colori,

la stradina, dove pasegerano i sorrisi,

il nascondiglio dei baci.

Non dimentico le piccole tartarughe,

i fiori e le luci per le farfalle,

l’angolo degli anziani

il passato ha bisogno di dimenticare.

 

Ogni sera allargo il giardino

tra i quadretti della mia giacca

ce ancora spazio,

domani potrò aprire un'altra stradina.

 

SE ARRIVASSE DA LONTANO

 

…qualche ricordo spezzato,

apogiato sulla gioia perduta…

e troppo stanco.

M’a trovato, non m’a riconosciuto.

Solo il nome e tuo, imbroglione,

vieni a bere un bicchiere,- se mi ubriacassi,

allora si- sei tu.

 

Povero ricordo, neanche io ti riconosco,

sei cambiato molto, fanciullo vivace

con due dita di orizzonte e tre di cielo,

melanconico- zoppo, gioia- spezzata.

 

Cosi, nessuno arriva da lontano,

se prima non e andato. Cos’e andare? Solo un sogno

senza viso. Viso che si cancella

piano, come le orme.

 

Se arrivasse da lontano quello che mai parti

lo prenderò per mano a indicarmi la strada

ed io da li non andrò

come la voce,

che l’orecchio sordo, non lo vuole per cielo.

 

IL TERREMOTO

 

Tutto traballo al improvviso,

il lavandino ululo, il muro apri bocca

mai l’avevo visto,

i libri ballarono, le lettere

uscirono fuori,

i titoli arrotolarono felici per le scale.

 

L’armadio ubriaco abbraccio il letto,

lo specchio mi riflette in mille face,

la porta non obbediva ad aprirsi.

Solo una piccola bambola nuda

non perdete il sorriso degli occhi,

stringeva la pancia, quando l’orologio si fermo.

 

Il primo cadde il soffitto, poi il balcone,

le scale si arrotolarono sui travi. Allora

la gente ha capito

che i muri sono pericolosi.

Dentro divento uguale a fuori,

invece fuori, senza muri e sempre più bello che dentro,

la gente allora capi,

che erano vittime dei muri. Le lettere scapparono dai libri,

titoli che correvano e correvano,

la piccola bambola nuda

non perse il sorriso degli occhi, quando i muri crollarono

e la gente erano vittime.

 

CORAGIOSA, SCONFITTA

 

Non esiste gioia più grande della vittoria,

anche se fossi un verme, quando ingoi un insetto,

strisciante analfabeta, coccodrillo per esempio,

d’ai denti al infinito,

divorare la zebra senza contarle le strisce.

 

Ma la sconfitta scricchiola fatalmente fra i denti,

tra coltelli e pance gonfie,

maledice la vittoria,

prepara la vendetta,

senza la vittoria non sarebbe sconfitta.

 

Ma non li importa a la vittoria,

festeggia nei banchetti, alza archi di trionfo,

macina costole, peli, arti,

disfaccia, disintegra,

crea la sconfitta, l’assomiglianza sfaciatta,

l’applauso senza mani.

 

(Përktheu: Ben Meçe)

 

 

 

 

 

 

 

 

Mettiti in contatto

Fondato da: Francesca Gallello

saturno.magazine@libero.it

(+39) Francesca 3383684998

© 09-2025 Design by Artvision.
All Rights Reserved.