DA ANGELA KOSTA – “TU SCRIVEVI IN COMA” DELL'AUTORE LUAN RAMA
-Alla poetessa Shpresa Kapisyzi che, anche in coma, la poesia le pulsava nell'anima-
La poesia "TU SCRIVEVI IN COMA" di cui l'autore Luan Rama dedica alla poetessa albanese Shpresa Kapisyzi, non è una narrazione mistica, nemmeno una favola. Ciò è realmente accaduto... I versi in essa ci "portano" in un letto d'ospedale, dove sembra che tutto giace, dove non si sente nemmeno il respiro, eppure ogni singola parola, ogni passo, ogni pensiero, ogni parola si espande nell'invisibile limbo.
Questa poesia, racconta un'esperienza mistica, vissuta sulla proprio pelle che va oltre i confini fisici della vita e della morte. L'autore Rama "costruisce" un ponte fra il mondo della vita reale e quello invisibile e sconosciuto dell'aldilà.
Nonostante fosse in coma, la poetessa scrive, narra, vede, sente... e tutto ciò lo fa tramite la poesia, immersa in quel cielo, in quelle nuvole che non sa da dove giungono, con lettere fluorescenti, mettendo nella mente quello che anima stessa desidera, perché essa è l'unica, è proprio ciò che non muore mai. Ed è qui che Rama focalizza, evidenzia l'epicentro di questi versi: come l'anima, pure la poesia non svanisce, non muore mai, non si spegne. Ecco perché appare "la luce bianca dei lampioni", le lucerne... perché tale è la poesia: candida, incandescente.
Purché il coma, in uno stato di incoscienza fisica, purché in questo limbo inspiegabilmente indesiderato, la vena creativa della poetessa non si ferma, ma continua a fluire come il sangue che, così come la poesia, non vuole, non ha intenzione a fermarsi dinnanzi a nulla, nemmeno quando il corpo rimane inerme, incapace di agire, di contrastate ciò il destino a volte ci offre.
Magici e affascinanti, le metafore, i similitudini che tramite questa poesia, l'autore Rama ci presenta, quest'isola che sembra perduta in un mondo misterioso perduto. Le "nuvole" e "le lettere d'argento" che cadono sugli occhi chiusi della poetessa, le "preghiere degli alberi" e i "fiori verdi" dal mondo dell'aldilà, scavalcano quel passaggio dal regno dei vivi a quello dei morti. La morte non è la proclamazione della finalità della nostra esistenza in questa vita terrena, ma è un altro stadio dell'esistenza, è il calvario doloroso che il cordone ombelicale percorre appena si stacca dalla vita, eppure un'altra vita ci aspetta, quella eterna.
Le "preghiere" e le "nostalgie" mettono in risalto proprio quel tutto, tutto ciò non può essere dissolto persino dalla morte. Per questo lei, la poetessa - angelo, continua a scrivere e "dipingere" per i suoi "cari sotto questo cielo ad acquarello", portando e costudendo oltre i ricordi anche il profumo di "grano e di erba":
"Continuavi a scrivere poesie nell'etere".
La lirica di Rama, ondeggia in un’atmosfera onirica, sospesa e appesa. Sospesa nel limbo, appesa in quel filo sottile che separa i due mondi: quello terreno - reale e quello eterno - irreale. Perciò i versi "vanno" oltre le barriere terrene. I "fiori verdi" e "l'aldilà", presentano (come in uno spettro colorato e incandescente), la visione positiva della morte, il suo passaggio verso tale dimensione in cui la legge della vita continua, perché in essa viene concepita di nuovo, ed è lì che si riapre la porta, interrompendo il sonno profondo, sveglia e vigile, ritornando a respirare, udendo il cuore che batte ancora, continuando a verseggiare come i crisantemi perenni.
TU SCRIVEVI IN COMA…
-Alla poetessa Shpresa Kapisyzi che, anche in coma, la poesia le pulsava nell'anima-
Tu scrivevi in coma
sotto una luce bianca di lampione
versi che si stendevano nell'aria
e dicevi:
"Chissà in quale cielo sono queste nuvole,
mormori d'anima e santi,
queste lettere d'argento che
sugli occhi miei chiusi cadono".
Così le dicevi tu le preghiere degli alberi,
le preghiere dei rimpianti
che la brezza via come lucerne tirava
per ricordare ciò che non potevi fare,
ciò che non potevi desiderare,
vedendo, con gli occhi chiusi,
persone che più non avevi,
nell'immensa insonnia e nel fluido quiete
del sangue che fermarsi non voleva.
Case che salivano in cielo guardavi
volevi andare pure tu lassù,
sopra i tetti magici della vita,
contavi le ore
quando il giorno e la notte
il loro patto avevano fatto
in una cosa sola a concepirsi.
E in questo non-tempo
a scrivere poesie nell'etere tu continuavi
con vocali fluorescenti del vecchio amore
e la nostalgia del mondo.
"Quanto vi sento, cari miei, sotto questo cielo d’acquarello,
sento il vostro respiro e il vostro profumo,
profumo di grano e di erba,
ove solo papaveri sulle vostre labbra vedo"...
E quando la porta della vita ti si aprì
i versi di nuovo ti apparvero,
non crisantemi,
ma fiori verdi dal mondo dell'aldilà,
la tua anima non li aveva dimenticati,
nemmeno il fiato...
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