"Ci hanno insegnato a odiare"
Alyssa Onyawole Yusuf – Nassarawa, Nigeria – 17 anni
Quando abbiamo imparato che la nostra voce era troppo forte, il nostro corpo troppo presente, la nostra ambizione troppo pericolosa? Curiosità: non è successo all’improvviso. È stato lento, costante, e a volte mascherato da affetto. Suonava come le zie che ti mandavano via perché “ci sono dei ragazzi nei paraggi”. Assomigliava a madri che insegnavano alle figlie a inginocchiarsi per salutare, mentre ai figli tutto era concesso. Lo si vedeva nei contesti familiari dove le donne non potevano decidere di tagliare i ponti con matrimoni tossici, ma venivano invitate a pregare per i loro mariti. A scuola, le ragazze venivano derise per aver risposto a troppe domande o per essere troppo sicure di sé. E poi c’erano le cene di famiglia, dove le donne e le ragazze cucinavano e servivano, mentre gli uomini discutevano di calcio e politica, e i ragazzi giocavano, aspettando di essere serviti. È iniziato tutto da lì.
Siamo state modellate ancor prima di avere le parole per descrivere tutto questo. In Nigeria, l’essere bambina non è solo una fase, è una performance, scritta dal patriarcato e diretta da generazioni che non hanno mai avuto l’opportunità di mettere in discussione il copione. Ho sentito frasi come “quando andrai a casa di tuo marito”, o “questo, quando tuo marito quello”, per più tempo di quanto riesca a ricordare. In un piccolo gesto di ribellione, pensavo: se non imparo a cucinare, magari non mi obbligheranno a sposarmi. Ho visto donne giudicate solo perché non erano ancora sposate a una certa età. E quando finalmente lo sono, tutto ciò che si sente è: pazienza, perseveranza, preghiera. Tuo marito ti tradisce, ti picchia, è emotivamente assente, non collabora, non fa il genitore? Non importa. Abbi pazienza. Prega per lui. Resta per i figli. La tua ricompensa è in cielo.
Il matrimonio è stato reso un passaggio obbligato per una donna, una condizione necessaria per essere considerata “completa”, non una scelta libera dettata dall’amore. Non sono contraria al matrimonio: credo che l’amore e l’unione siano concetti bellissimi, quando sono scelti, non imposti. Ma il successo di una donna viene ancora misurato dalla sua capacità di sposarsi e avere figli. Anche le bambine crescono con questa convinzione. Il matrimonio diventa la massima aspirazione. C’è come una data di scadenza immaginaria che incombe su di noi. Anche quando inseguiamo l’istruzione, il matrimonio rimane l’obiettivo finale. E ciò che è peggio? Mi ritrovo, a volte, ad agire secondo le stesse logiche patriarcali. Devo richiamare me stessa all’ordine. Una volta, guardando un film, la madre della protagonista – già avanti con l’età, con figli – voleva innamorarsi di nuovo. Ho pensato: “Ma perché vuole ancora uscire con qualcuno?” E lì mi sono fermata. Mi sono resa conto che stavo perpetuando le stesse regole sessiste e ageiste che cerco da anni di smantellare. Il femminismo non è solo ribellione, è anche un processo di disapprendimento, lungo, doloroso e necessario.
Abbiamo tutte sentito frasi come: “Ricorda che sei una donna”, “Ringrazia Dio di essere donna”, “Non credere di essere come tuo fratello, tu sei una ragazza e il tuo destino è diverso”. Tutte frasi rivolte a me. Quello che mio fratello poteva fare impunemente, se lo facevo io a metà, venivo già condannata. Frasi usate come minacce, come campanelli d’allarme per ricordarmi i limiti imposti al mio essere femmina. Ogni volta che le sentivo, era come ricevere una maledizione. Un amaro promemoria che la femminilità viene con delle catene. Ci hanno anche insegnato che le donne devono sempre essere presentabili, belle, pulite, curate. Ma non troppo belle, altrimenti sei una “leggera”. Credo fermamente che ognuno debba avere cura del proprio aspetto, ma perché deve essere un obbligo solo per noi? Perché deve diventare l’ennesima regola imposta?
Alle superiori e all’università, anche dopo aver abbandonato i dibattiti infantili sul “chi è meglio tra maschi e femmine”, la dinamica era sempre la stessa: i ragazzi sul piedistallo, le ragazze con una lista infinita di requisiti da soddisfare, altrimenti etichettate come inutili. Se le foto intime di una ragazza venivano diffuse, era lei la “rovinata”, la “prostituta”. Il colpevole? Mai menzionato. Se una ragazza era sessualmente attiva, era una poco di buono. Se non lo era, era una rigida, una superba. O peggio, le veniva appiccicata comunque qualche diceria per screditarla. È come se le donne non potessero mai vincere.
Per questo motivo credo fermamente che ogni donna debba fare esattamente ciò che vuole. Perché in ogni caso, verrà giudicata.
Ora che sono all’università, i sondaggi anonimi sembrano diventare discariche per idioti misogini che riversano il loro odio sulle donne. “È una poco di buono, è andata a letto con X, Y, Z”; oppure: “Si crede bella ma è orribile.” E spesso è solo una ragazza che ha osato dire di no a qualcuno. Donne adulte vengono crocifisse per aver avuto rapporti consenzienti. Se questo non è delirio, non so cosa lo sia. Poi, come se non bastasse, tirano fuori la questione morale. Ipocriti. Se davvero vi importasse della moralità, comincereste col chiamare in causa gli uomini, non con il diffondere la vita privata delle donne su piattaforme anonime. Questi concetti distorti di religione e moralità sembrano valere solo per colpire le donne.
E a quelle ragazze che si crogiolano nell’approvazione maschile, che denigrano le altre donne pensando di essere intoccabili: spero vi svegliate. E se non lo farete, il vostro momento arriverà. Non è una maledizione. È la realtà. Perché se c’è una certezza, è questa: il patriarcato non favorisce nessuna donna. Come diceva mia nonna: non puoi seminare riso e raccogliere igname. È impossibile. L’ambizione femminile fa ancora paura. Una figura che ammiro, dopo oltre 22 anni di carriera, si è sentita dire da un collega senior: “Sei troppo intelligente per essere una donna.” E anch’io, timida fin da bambina, venivo tacciata di “testa dura”, “capa di cocco” solo per aver espresso un’opinione. Parlare, da ragazza, era trattato come un crimine.
Un esempio emblematico è la senatrice Natasha Akpoti-Uduaghan, una donna che ha subito incessanti attacchi solo perché si è rifiutata di piegarsi al sistema. La sua esperienza dimostra che nemmeno il potere può proteggere una donna dalle grinfie del patriarcato. E dobbiamo parlare anche della generazione precedente: molte donne hanno trasmesso questi ideali, non per cattiveria, ma perché era tutto ciò che conoscevano. Non dico che non debbano essere responsabili, ma serve anche comprensione. Il femminismo è una lotta per tutte. Disimparare richiede sostegno, empatia, comunità. Demonizzarle non serve a nessuno. Dobbiamo aiutarle a liberarsi anche loro.
E infine, la cosa forse più estenuante: tutto ruota ancora attorno agli uomini. Persino il femminismo viene distorto, come se fosse solo un tentativo delle donne di “imitare” gli uomini. Ma non è così.
Il femminismo non è competizione. Non si tratta di invertire i ruoli o di emulare. Si tratta di libertà. Di permettere alle donne di esistere, semplicemente. Di vivere senza standard soffocanti. Senza dover continuamente dimostrare qualcosa, senza essere incasellate in uno stampo. Il patriarcato disumanizza. Dice che una donna deve essere perfetta o non vale nulla. Non c’è spazio per la nostra umanità autentica. O sei la donna ideale – silenziosa, bella, da sposare – oppure sei scarto. Il femminismo dice: non siamo creature soprannaturali. Non siamo qui per compiacere o per comportarci bene. Non siamo liste di controllo. Siamo donne. Siamo umane. E questo dovrebbe bastare.
La ribellione? Non è sempre rumorosa, ma esiste. Nella nostra voce, nel modo in cui ci difendiamo a vicenda, nel disimparare – piano piano – tutta la merda che ci hanno lasciato in eredità. I social non sono solo caos: sono anche rifugi, rivoluzioni silenziose nei gruppi e nei commenti. Siamo stanche di vergognarci. Stanche di rimpicciolirci. Stanche di doverci scusare per il solo fatto di esistere. Ci hanno dato uno specchio rotto, dicendoci di trovarci dentro la bellezza. Ma ne stiamo costruendo uno nuovo. Mani tremanti, cuori saldi.
Non abbiamo tutte le risposte. Sbagliamo ancora. Ma almeno siamo sveglie. Non fingiamo più. Questo è ciò che ci avevano insegnato a odiare, e che ora abbiamo deciso di imparare ad amare. Stiamo imparando ad amarci ed esistere pienamente, con orgoglio, fragilità, imperfezione – e soprattutto – senza chiedere il permesso.
Alyssa Onyawole Yusuf
Traduzione in italiano a cura della redazione SATURNO
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