C’è un silenzio che fa più rumore di mille parole. È quello che abita le stanze dei ragazzi, dietro le porte chiuse, dietro gli schermi accesi. È il silenzio della solitudine, dell’incomprensione, della delusione. Un silenzio che oggi si riversa nei social, in video su TikTok dove giovani piangono, si sfogano, raccontano di sentirsi soli anche in mezzo alla propria famiglia. Non compresi, non ascoltati, non visti.
Viviamo in un’epoca in cui i giovani sono iperconnessi, ma profondamente disconnessi dalla realtà che li circonda. Escono poco, si rifugiano nei mondi digitali, si raccontano in diretta a perfetti sconosciuti perché spesso chi dovrebbe esserci — genitori, insegnanti, istituzioni — è troppo distratto, troppo stanco o troppo distante per accorgersi del loro grido.
Molti di loro hanno smesso di sognare. Non perché non abbiano talento, ma perché hanno capito che il talento, da solo, non basta. Vivono in un Paese che li forma ma non li assume, che li istruisce ma non li accompagna, che li spinge a studiare per poi costringerli a emigrare. E allora si accontentano: lasciano gli studi, fanno lavoretti per sopravvivere, vivono alla giornata. Non per scelta, ma per necessità. Perché il futuro, per molti, è diventato un lusso.
E la scuola? Troppo spesso è un luogo che giudica ma non guida. Che valuta ma non ascolta. Che insegna nozioni ma non costruisce percorsi. Dove sono i laboratori, i tirocini, le esperienze concrete che possano accendere una vocazione, una speranza, un progetto di vita? Dove sono gli adulti che sappiano dire: “Ti vedo. Ti capisco. Ti aiuto”?
E la famiglia? Anche lì, a volte, si è troppo presi dalla fatica quotidiana per accorgersi che un figlio si sta spegnendo dentro. Che non parla più, che non sogna più, che non crede più in sé stesso. E allora si rifugia in un mondo virtuale dove almeno può urlare senza essere zittito.
Ma non possiamo più permetterci di ignorare tutto questo. Perché stiamo perdendo una generazione. Una generazione che ha bisogno di essere ascoltata, sostenuta, accompagnata. Che ha bisogno di scuole che non siano solo luoghi di passaggio, ma trampolini verso un futuro concreto. Che ha bisogno di famiglie presenti, di adulti empatici, di uno Stato che investa davvero nei suoi giovani.
Perché uno Stato che lascia soli i suoi ragazzi è uno Stato che ha smesso di credere in sé stesso.
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