Saturno Magazine, Articolo: HAJRI LAMAJ

HAJRI LAMAJ

 

 

HAJRI LAMAJ - ALBANIA 

 

 

 

Hajri Lamaj è nato nel 1959 a Berat (Albania). Dopo aver finito la scuola superiore a Tirana nel 1977, per motivi biografici (suo padre era prigioniero politico), non poté continuare gli studi universitari. Nonostante ciò, lottò per istruirsi, finendo la scuola superiore con risultati molto buoni, dove vinse per ben due volte le olimpiadi di matematica, presentando la città di Tirana. Eppure, rimase nuovamente deluso, poiché non poté proseguire gli studi universitari per lo stesso motivo biografico. Fu quindi, il cambio del sistema, la fine della dittatura, dove in un concorso vinse, (quindi si iscrisse) e si laureò alla Facoltà di Economia. Nel 1978, Lamaj scrisse la sua prima poesia dedicata a sua madre defunta dal titolo: ''Nënë më linde, pse s'më rrite? - Madre, mi hai partorito, perché non mi hai cresciuto?"

Dopo il volume poetico: "Krenar për origjinën - Orgoglioso per l'origine", è in fase di pubblicazione il libro di racconti "Loti i pafajsisë - La lacrima d'innocenza", nonché il secondo volume di poesie: "Mos e lëndoni jetimin - Non lo ferite l'orfano."

 

 

DOLORE CHE COME PIETRA PESA

 

 

Dentro la mia anima

nascosta un enigma rimane

di giorno come un gemito appare,

di notte come un angelo mi accompagna.

 

Dentro il cuore ho tanti sogni,

uno di essi di più mi pesa:

quando mia madre nei sogni mi appare

per giorni interi sveglio rimango.

 

Da dove viene la forza di questa nostalgia,

non lo so... ogni volta che arriva,

nelle lacrime soffoco.

Mi mancava nell'infanzia,

la cercavo, ma non riuscivo a trovarla.

 

Quando nei prati giocavamo

spesso sulle pietre ci ferivamo,

in aiuto ai compagni le madri venivano

ma mia madre non arrivò mai.

 

La mancanza della madre, ovunque,

è un dolore che pesa come una pietra

per essa hai bisogno quando sei bambino,

e la chiami, quando sei pure uomo.

 

 

ANCHE QUI SI PUÒ COSTRUIRE LA VITA!

 

 

Per le vie d’immigrazione

come un mendicante sul mondo, rimasi

ma come il mio bel villaggio

né vidi, né mai trovai.

 

Torna al villaggio, dissi a me stesso:

anche se fosse rimasto deserto,

al lavoro con i tuoi figli rimettiti,

lì, la tua vita costruisci!

 

 

Quando dal lungo viaggio tornai

lo sguardo ai piedi del monte, gettai

lo vidi abbandonato

e nel profondo dell’anima, tristezza sentii.

 

Non mi fermai, forza ebbi e dissi:

"Anche qui si può costruire la vita,

cura avrò dei campi e dei prati,

e come l’ape lavorerò".

 

 

Quando i primi frutti raccoglierò

dal sudore versato sulla terra,

le strade dell’immigrazione dimenticherò

e anche le ferite che mi procurò.

 

Perdonami, villaggio mio

che non sono tornato prima,

invano per le vie del mondo vagai

porta a porta, come un servo, fossi.

 

 

Tradotto da Angela Kosta giornalista, poetessa, saggista, editore, critica letteraria, redattrice, traduttrice, promotrice

 

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